IL processo imperfetto. 1894: i fasci siciliani alla sbarra

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Il processo imperfetto

1894: i fasci siciliani alla sbarra

di Rino Messina

Sellerio, I ed., 2008

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Palermo, aprile-maggio 1894: di fronte al tribunale militare di guerra si celebra il processo contro i dirigenti dei Fasci siciliani. Un resoconto completo dell'infausto episodio che sancì la fine del vasto e importante moto di lavoratori e intellettuali siciliani.

Tra l’aprile e il maggio del 1894 si celebrò a Palermo, di fronte al tribunale militare di guerra, il processo contro i dirigenti dei Fasci siciliani, conclusosi con pene fino a diciott’anni di reclusione. Fu la fine di quel vasto e importante moto di lavoratori e intellettuali siciliani, uno dei primi passi, per quanto accidentato, della democrazia in Italia e che avrebbe enormemente influito sulla sua storia successiva. Epilogo cupamente repressivo per una esperienza civile chiaramente progressista e riformatrice, ingiustamente accusata da Crispi di sovversivismo rivoluzionario e antinazionale. Ma il processo, contro Giuseppe De Felice Giuffrida e gli altri membri del Comitato Centrale dei Fasci, non fu solo un atto politico di liquidazione; dimostra questa ricerca che fu un rito giuridicamente iniquo perché vistosamente viziato da illegalità, anche rispetto ai codici militari ai quali si richiamava. È immensa la bibliografia storica sui Fasci, ma mancava un racconto dettagliato come questo del processo di Palermo. Esso si sviluppa su tre piani: uno studio introduttivo che analizza la vicenda sotto il profilo giuridico individuandone i nodi cruciali, illustrandone i nessi e spiegandone le problematicità; un commento riassuntivo delle cronache giornalistiche delle singole udienze; infine, le trascrizioni vere e proprie dei verbali di udienza, con il testo della sentenza conclusiva emessa dalla Corte di Cassazione, a seguito del ricorso. «L’inchiesta – scrive l’autore – ignora realtà e pulsioni; tende a liquidare sul piano giudiziario fenomeni storici complessi, e anzi sul medesimo piano agisce come se la storia non esistesse; vuole vedere non le cause vere, ma quelle che pretende abbiano in concreto causato il disordine; ammanta di perbenismo plumbeo rivendicazioni sacrosante, e ne etichetta i propugnatori come sovversivi; intende ristabilire l’ordine non con l’autorità della ragione ma con la ragione dell’autorità. Le colpe, com’è intuitivo, non stanno nell’inchiesta giudiziaria in sé, ma nella volontà politica di averla fatta nascere e sviluppare in determinati modi e contro determinati soggetti».

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