Quel tipo di donna

“No: non siamo noi quel tipo di donne lì, o quel tipo di uomini, dico quelli che stendono una tovaglietta sotto il piatto per mangiare da soli. Abbiamo mangiato da sole tante volte, che l’avessimo scelto o no, che ci sia piaciuto o no, con i figli che gattonavano d’intorno e comunque sole su quel piatto. Ma per la tovaglietta non abbiamo avuto tempo: c’è sempre stato altro da fare, da leggere, da passare il badge, o da consegnare un pezzo, o da occupare un terreno confiscato, entrare in carcere, organizzare uno spettacolo, cercare le mutande nel letto disfatto di un altro.”

 

Valeria Parrella nel suo ultimo libro Quel tipo di donna (HarperCollins Editore) racconta  di un viaggio compiuto insieme a tre amiche in Turchia, il loro stare insieme, ma anche la solitudine con cui ognuna di loro  ha imparato a fare i conti. Sono tutte e quattro “quel tipo di donna” che ha imparato a gestire una solitudine molto affollata di impegni, di idee, di progetti e insieme  impareranno a conoscere la più terribile solitudine, quella generata dalla perdita: “ Noi eravamo quattro donne in solitudine e ora che non c’era più l’immagine corporea di Saciko, ma ella viveva tra noi in essenza, Dolores ci stava mostrando come si può anche quella solitudine là”. Dolores ha perso da poco la figlia adolescente e le amiche, in quell’agosto che spopola la città, decidono di partire insieme da Napoli. Quattro amiche, quattro donne senza uomini accanto, l’intensità di questa  autosufficienza amicale pervade tutto il libro e viene declinata in tutte le sue forme, è una complicità sottile in cui il gioco del rispecchiarsi e dello sdoppiarsi consente di conoscersi meglio e di crescere in un modo spensierato e profondo, superficiale e drammatico, speciale e banale: “È che è molto facile innamorarsi delle donne, perché le donne sono belle. Innamorarsi in maniera estemporanea della propria immagine riflessa in un’altra da sé, intendo.”

L’io narrante  e le sue tre amiche, Dolores, Carola, Camilla  atterrano a Instabul e scoprono una città che ancora contiene la varietà del mondo, prima del brutale passo indietro a cui e stata costretta dopo l’illusione di un  nuova primavera. Le amiche, una coppia del segno zodiacale Gemelli e l’altra del Capricorno riescono a ottimizzare le loro differenze caratteriali e fare diventare il loro viaggio ancora più speciale : “Noi capricorno abbiamo salvato le gemelli dai casini, loro ci hanno salvato dalla noia. Tra amiche si fa così”.

Dopo avere  visitato Instabul, partono in macchina verso un itinerario che si inventa andando, soprattutto, verso “località archeologiche o architettoniche di interesse”; decidono così di attraversare tutta la Cappadocia e raggiungere la costa meridionale. Nel viaggio ci si perde ma insieme si ritrova la strada. L’io frammentato dal dolore riesce a ricomporsi, la funzione taumaturgica dell’allontanamento diventa cura perché le donne sanno curare. Conoscono a intuito, a pelle, portano nelle cellule e fibre cosa le altre donne prima di loro hanno saputo dire e fare per guarire e guarirsi. Il viaggio, un po’ disperato e un po’ felice, le porta lì dove ognuna di loro vuole arrivare e nel viaggio si compie il rito della sorellanza: “Si diventa sorelle senza bisogno di sangue o parentele dirette o stronzate del genere, perché l’amore a queste cose qui non ci bada proprio”.

 La cronaca del viaggio comprende luoghi magici da raggiungere ed esplorare come i cunicoli sotterranei dei Camini delle Fate in Cappadocia, fino ad arrivare alle coste di Antalya. Nel cammino decidono di stazionare in piccoli villaggi sul mare dove prendere una barca, senza bisogno di uomini al timone  per  veleggiare senza veli in un mare scintillante e sconosciuto,  in compagnia di inaspettate tartarughe marine con un tramonto infinito che regala la visione, a bordo con loro, di Sanciko, quinta invisibile compagna di viaggio. Durante le tappe, tra una destinazione e l’altra, si parla tanto, il tempo si dilata e la voglia di raccontare si amplifica. I racconti sono la colonna sonora dei lunghi tragitti in macchina per raggiungere mete sconosciute. Riaffiorano i ricordi, oltre quelli inerenti la propria vita  tornano alla memoria le storie delle donne che ci hanno regalato il nostro presente, ricordi di vite passate che comprendono anche le esistenze delle nonne e delle mamme. Donne che in altre epoche hanno intrapreso altri viaggi, in cammino verso la loro identità. Mamme insegnanti al Sud che portano le loro studentesse all’apertura dell’Upim di Crotone, perché non avevano mai visto un grande magazzino, e poi  al mare, perché non c’erano mai state, e  spiegano come si fa la ceretta, e come si usano le pinzette per le sopracciglia, convincendo i genitori a uno a uno a dare il permesso alle loro figlie di partecipare alla gita e la soddisfazione di sapere che quelle ragazze sono oggi  tutte laureate. E la storia di nonna Elettra della sua vita irrequieta, dei suoi due matrimoni quando ancora non c’era la legge sul divorzio, delle sue passioni per il teatro, la politica, per la libertà.

Quando il viaggio volge al termine  è anche la fine del Ramadan, l’ultima tappa ad Antalya e il lento rito del bagno turco, prima del vorticoso rientro, la fine della vacanza, il ritorno in cui  raccogliere i frutti di cui quel tempo trascorso insieme ha riempito  le  vite delle quattro amiche. Molto differenti dalle quattro di New York, come spiega Dolores a un uomo incontrato in un bar: “Lui, Four, like Sex and City,  Lei: More like brain and the underground”.

 Il libro si legge tutto d’un fiato perché quando hai sete bevi così senza staccarti, e quando hai preso la rincorsa non ti puoi fermare, devi correre anche se vorresti rallentare. E questo libro è così, un ritmo che ti accelera e allora pensi che dovrai rileggerlo perché stai andando troppo veloce, ma non puoi interrompere la lettura. Perché racconta qual è quel tipo di donna che vorresti conoscere, con cui vorresti partire per sperimentare, magari  due arieti e due bilance, o qualsiasi altra combinazione astrologica, quella complementarietà che solo alcune donne sanno gestire. Perché, diciamocelo, non sono molte le donne capaci di giocare così seriamente con i fatti della vita, e allora, tutto d’un fiato, proviamo a conoscere qualè  “quel tipo di donna” che ci riesce.

Articolo di Leontine Regine