Il ministero della suprema felicità (edito quest’anno in Italia per Guanda e tradotto da Federica Oddera) è il nuovo romanzo di Arundhati Roy, la vulcanica scrittrice indiana del Dio delle delle piccole cose.
Su un marciapiede di cemento un neonato compare all’improvviso, appena dopo la mezzanotte, in una culla di rifiuti… “Nessun angelo cantò, nessun uomo saggio portò doni, ma un milione di stelle apparvero a Oriente ad annunciare la sua venuta.” In un cimitero di città un abitante srotola un logoro tappeto persiano tra due lapidi… “Come per un suo gioco personale, mai le stesse per due sere consecutive.” In un appartamento al secondo piano, sorvegliato da un gufetto, una donna sola nutre un piccolo geco con zanzare morte… “Ecco cosa avrei dovuto fare” pensò “l’allevatrice di gechi.” E alla pensione Paradiso, due persone che si conoscono da tutta la vita dormono abbracciate come se si fossero appena conosciute.
La Roy intreccia con la delicatezza tipica della sua scrittura e il respiro profondo del suo immaginario, un caleidoscopio di storie di una umanità dolente, piegata dalla vita e insieme ogni giorno salvata da piccoli gesti di cura, di amore, invisibile sussurro di una India ancora umana. Un’umanità ai margini che racconta le contraddizioni dll’India odierna, conserva i valori più universali della cultura indiana e la salva dagli estremismi contemporanei e dall’ottusa violenza.